basettun, 17/08/2009 19.52:
E’ questa un’opera che impone la sosta dello sguardo, il correre e ri-percorrere i diversi passaggi che portano alla struttura definitiva, non permette la lettura veloce e distratta, tipica del nostro modo di guardare, assediati dalle immagini tutte disvelate.
Solo un’attenta osservazione consente di intravedere la “prigione” celata da “un’ ingannevole” vegetazione, un quadro che “racconta” la condizione di vita del genere umano che, spesso, fa apparire ciò che vuol far vedere, occultando, così, le prigioni interiori di ogni individuo. Infatti, come Paolo ci insegna “Le prigioni dalle quali è più difficile evadere sono dentro di noi. Se impareremo a costruirle e scomporle, gioiendo nell’esecuzione dei progetti, saremo finalmente liberi. Il rischio è, essenzialmente, fermarsi nell’azione compiuta”.
Cosa fare per non soffrire nella condizione di prigioniero?
A mio avviso, ci sono due modi. Il primo riesce facile a molti: accettare la prigione e diventarne parte al punto di non vederla più. Il secondo è saper riconoscere chi e cosa, dentro la nostra prigione, non è prigione, e farlo durare, e dargli spazio.
Gabri.