00 18/11/2009 22:04
Torno subito, forse - segue

Il rientro a casa fu burrascoso, Letizia lo aggredì già sulle scale e lui s’infilò subito nel portone per attirarla dentro, non voleva che i vicini sentissero la litigata.
- Dove sei stato oggi?
- Come, dove sono stato? A scuola, no? Dove pensi che vada quando esco alle cinque del mattino? – ma già Luca aveva intuito il guaio.
- Infame! Alle dodici e mezza ha telefonato il direttore e voleva sapere perché non eri a scuola. Con quale puttana te ne sei andato?
- Ma che dici? Non gridare! E tu che gli hai detto?
- Gli ho detto, mio marito ha detto che andava a scuola, forse il treno ha avuto un incidente. No signora, stia tranquilla, non c’è stato nessun incidente. Certo, mio marito è un bastardo e chissà con quale troia se la spassa.
- Non gli avrai mica detto così?
- Certo che gliel’ho detto, devono saperlo tutti che sei un bastardo.
A quel punto Letizia spalancò il portone ed urlò.
- Mio marito è un bastardo e se ne va con le puttane. Tutti lo devono sapere.
Luca la tirò dentro e richiuse.
- Ma ti posso spiegare? Perché arrivi subito a conclusioni grottesche?
- Grottesche? Ma parla come mangi, poeta del cazzo!
- Oh, insomma, basta! – gridò Luca – Ma che sono io, un ragazzo che mi devo giustificare se non sono andato a scuola? E chi sei tu, mia madre? – poi si girò, fece qualche passo e approfittando del momento di tregua continuò – Se ti calmi posso anche spiegarti cosa ho fatto, ma non hai nessun diritto di offendermi. – disse puntandole un dito in faccia. – Ho dei problemi in una frazione e sono andato a controllare. Ecco, ora lo sai.
- In una frazione? E senza dire niente al direttore?
- Sono cose che riguardano me. Al direttore lo dirò domani, se è il caso.
- Certo, come no. E dimmi, com’è la maestra di questa frazione, bionda o bruna?
- Ma quale maestra, è un maestro anziano che sta per andare in pensione, è andato di testa e combina guai.
- Ma a chi la racconti? Si sente lontano un chilometro che puzzi di femmina.
- Ma come parli? Ma ti stai sentendo?
Letizia cominciò a muovere le mandibole come se masticasse e prima che Luca si rendesse conto di cosa stava facendo, gli sputò in faccia. E fu uno sputo così carico di rabbia e di disprezzo come se avesse sputato sul cadavere di un ratto.
Luca restò più mortificato che nauseato. Riprese la sua giacca ed uscì mentre lei gli sbatteva la porta alle spalle.
- “Non torno più,” – pensava spingendo la macchina – “giuro che non torno più. Mi sputerò in faccia io stesso se sarò così stupido da tornare in quella casa.”
Luca aveva pochi soldi in tasca, che gli sarebbero dovuti bastare per il resto della settimana, ma la prima cosa che fece fu di entrare in un bar e di prendersi una fetta di torta e un brandy, cosa che gli costò quanto quattro giorni di prima colazione. Quando l’alcol cominciò a manovrare le sue cellule cerebrali, entrò in un market ed acquistò una bottiglia, poi cercò una strada che portava fuori dell’abitato, si sistemò sotto un albero e cominciò a bere e a pensare, a pensare e a bere fino a quando le parole non presero il posto dei pensieri e allora parlava e beveva, beveva e parlava e diceva tutto quello che non aveva detto per tutti gli anni che era stato con Letizia.
- Erano anni che mi volevi sputare in faccia e finalmente l’hai fatto, l’hai trovato il coraggio brutta femmina troglodita, è quello che mi merito per tutti gli anni di fatica e di umiliazioni che ho dovuto subire per portare soldi a te e ai tuoi figli. Dov’eri tu quando mi rompevo la schiena per scaricare il camion? E quando facevo venti ore di guida tutte di fila per poter partire l’indomani dopo quattro ore di sonno? Perché dovevo guadagnare di più ché i soldi non bastavano mai. E nemmeno ti svegliavi per farmi un caffè. E ora mi accusi che me ne vado con le puttane. Brutta schifosa, cosa credi che non ne abbia incontrate? Non sono andato mai con nessuna, né prima né dopo che ti ho conosciuta, stupido che sono, e sì che ne ho avute tante a portata di mano, pronte a darmela anche gratis, ché non sono poi così male, e invece tornavo sempre a casa, da una che s’incazza solo a vedermi e alla fine mi sputa pure in faccia. Spùh! – Luca sputava dentro l’abitacolo della sua macchina immaginando la figura di lei – Spùh! E ora che ho trovato un posto nella scuola, che finalmente mi riposo un po’, non ti va bene, ora che posso conoscere una migliore di te ti viene la paura perché lo sai che non vali niente. Brutta disonesta! Dovevi restare al tuo paese e maritarti col farmacista del cazzo, forse lui era degno di te. O forse non esiste nemmeno, questo farmacista, te lo sei inventato. Chi poteva volerti al paese? Solo un primitivo come te. Spùh!
A metà bottiglia, si rese conto che stava parlando con un fantasma e allora girò lo specchietto verso di sé e sputò verso il suo viso riflesso.
- Spùh! Brutto cretino, pensavi di aver trovato l’amore eterno, eterno un cazzo. Spùh! Vaffanculo tu, tua mamma, tuo padre e tutti quelli che ti hanno insegnato le cazzate che ti riempiono la testa. E’ più sincera questa bottiglia che mi fa pensare davvero, e mi fa pensare cose vere, lo schifo che provo per te, per lei, per tutta la mia vita passata. Spùh! – E con un pugno ruppe lo specchietto, poi ne sferrò altri sul parabrezza, sullo sterzo, sul cruscotto, ma non fece molti più danni di quanti già non ce ne fossero.
La sua ira era controllata da un senso remoto della conservazione, talmente remoto che sfuggiva alle sue volontà estemporanee, archiviato in modo ingegnoso tanto da apparire una chiave del sistema inespugnabile, persino da chi l’aveva ideata. E l’impeto di bere, di ubriacarsi per sconvolgere le sue convinzioni arcaiche, cagionava solo la seduzione fugace della libertà. Luca si dibatteva nell’abitacolo della sua automobile come dentro la prigione dell’educazione che aveva ricevuto da giovane, sferrava pugni e sputi ma non aveva l’intenzione vera di distruggerla.

Non tornò a casa quella sera, dormì in auto e l’indomani raggiunse la stazione con un’ora di anticipo per poter smacchiare i vestiti sporchi di vomito, si ripulì alla bell’e meglio e poi si sistemò sulla ventola del riscaldamento per asciugarsi, ma non fece in tempo e si presentò sul treno con chiazze sulla camicia e sui pantaloni. Lo stesso aveva cercato di fare con le macchie nella sua mente, le aveva ripulite come poteva ma ne sentiva ancora l’odore acre inconfondibile del vomito raffermo. Sul treno si nascose a ridosso della motrice, dove non lo avrebbe cercato nessuno se non il bigliettaio che già lo conosceva e perciò non gli faceva obiezioni. Viaggiò così fino alla sua destinazione dove sgattaiolò con un salto in prossimità del semaforo ch’era già fuori del marciapiede. Lì aspettò dietro un palo che tutti sparissero e poi andò in ufficio, dove fu più importante giustificare le macchie sui vestiti che l’assenza del giorno prima. Quelle furono il radiatore dell’auto ch’era scoppiato e s’era salvato il viso per un pelo, l’altra, più contorta, narrò di un parente incontrato sul treno, che s’era sentito male e l’aveva dovuto accompagnare all’ospedale dove aveva perso la mattinata al pronto soccorso, e figurati se in quel trambusto di cardiologi e terapie intensive aveva pensato di avvisare.
Al ritorno fece in modo di perdere il treno dell’una e mezza, perciò s’imbarcò sul locale delle due e arrivò alle cinque, e nonostante tutti i giuramenti, le imprecazioni e gli sputi, tornò a casa come se niente fosse accaduto.
Chissà come, ma sapeva già che non ci sarebbero state sceneggiate né liti né urla, entrò senza incontrare anima viva e si recò dritto in cucina dove trovò sul tavolo, al suo posto, un piatto di maccheroni, le posate, un bicchiere e una bottiglia di vino. La pasta era fredda e incollata, la divorò in quattro bocconi e mentre si scolava la bottiglia un bicchiere alla volta, sentiva il vociare dei bambini nell’altra stanza e la voce di sua moglie che li incitava al silenzio.
- Zitti, zitti, – diceva Letizia – papà è stanco e deve riposare.
Lui sputò dentro il bicchiere, gli era sembrato di vedere la sua immagine riflessa sul fondo ma era solo un gioco delle gocce residue, che s’erano spente all’improvviso quando il sole s’era stancato e aveva mollato la presa sull’orizzonte precipitando.
Luca prese la forchetta e nel sugo ch’era rimasto nel piatto scrisse una frase: “torno subito, forse”.
La stessa frase che transitava, quindici anni dopo, nello schermo del suo computer e che lui aveva scambiato per una striscia di paesaggio nel finestrino del treno. Ma non fu sorpreso, gli capitava spesso di viaggiare col pensiero e la vera sorpresa era semmai di ritrovarsi sempre a casa alla fine del viaggio.
Laura gli si accostò alle spalle e gli accarezzò i capelli.
- Dopo tanti anni – disse – non sono mai sicura che torni.
- Eppure – rispose Luca – sei l’unica che può esserne certa.

fine