00 14/11/2009 18:41
Torno subito, forse - segue


Sul marciapiede della stazione Luca sembrava distrutto ma non ricordava nulla di ciò che lo aveva ridotto così. Le ore in ufficio erano passate lente, come una tortura pianificata che non deve ucciderti ma ti doma con metodo scientifico per fiaccare le tue difese e poi t’impone la soma, il giogo e tutti quegli attrezzi che servono per ridimensionare la personalità di un uomo a ragione delle funzioni di buon impiegato che deve assumere.
Senza darlo ad intendere, Luca, con una sgroppata, se ne liberava alla fine di ogni turno ma per non rischiare di astrarsi troppo dalla realtà continuava a ruminare dalla musetta, che era l’unico collegamento piacevole col padrone, lo stipendio alla fine del mese. Anche questa era una vergogna, questo suo piegarsi alle necessità della vita adottando atteggiamenti doverosamente servili che, pur non essendo utili al buon rendimento professionale, facevano parte del bagaglio di tradizioni medievali ch’era proprio del mondo della scuola.
Laura, in prossimità della fermata, s’era affacciata senza motivo cosciente, durante il viaggio di ritorno aveva osservato il mare che s’era scurito come se le luci di scena in profondità si fossero spente ed ora sembrava una lastra impenetrabile segnata di virgole blu. Del sole s’erano perse le tracce allo zenit.
Una coperta gettata dai monti teneva prigioniero quel po’ di calore che aveva lasciato, che rimbalzava dalla terra alle nubi respirato cento volte e sfuggiva dai tagli provocati dal vento, asole scucite o rabberciate alla buona che si deformavano di minuto in minuto.
Intravide Luca che si attardava e lo chiamò gesticolando in modo plateale.
- Siamo qui! – urlò, e tutti si voltarono per riconoscerla, anche Luca, che si avviò verso quella vettura ch’era l’ultima ed era rimasta fuori del marciapiede, si arrampicò sui gradini e la raggiunse quando già il convoglio stava per muoversi.
- Ma sei sola, e le altre dove sono?
- Loredana è avanti, sta parlando con un suo collega, ma adesso torna. Vuoi andare da lei?
- No, a quest’ora preferisco la compagnia di persone più tranquille.
- Loredana è fatta così, è piena di vita e non si dà un attimo di respiro.
- Insegnate nella stessa scuola?
- No, ma siamo amiche da un bel po’.
- Ma tu quanti anni hai? Sembri una ragazzina.
- Ne ho ventitré, e tu?
- Io ne ho trentuno. Ma stai facendo una supplenza?
- No, sono già di ruolo. Non sembra vero ma ho vinto un concorso quando avevo diciannove anni. E tu? Mi ha detto Loredana che fai il segretario.
- Precario, per fortuna.
- Perché, per fortuna?
- Perché è un mestiere che non mi piace. Non mi piace la scuola, non mi piacciono i miei colleghi, non mi piace niente di questo lavoro. Lo faccio solo perché devo portare uno stipendio a casa.
- E cosa ti piacerebbe fare?
- Niente, scrivere e vendere i miei libri.
- Tu scrivi?
- Qualcosa, sì, racconti, poesie.
- Davvero? E hai pubblicato qualcosa?
- No, costa troppo. Gli editori vogliono essere pagati, non sono editori ma tipografi, basta che paghi ti pubblicano qualsiasi cosa, ma senza soldi…
- E non hai niente qui da farmi leggere?
- No. Ma se vuoi domani ti porto delle poesie.
- Oh, sì, grazie.
- Ta tan! Credevate di esservi liberati di me? – Loredana fece il suo ingresso come l’anta di una porta che sbatte, si sedette sulle gambe di Luca e gl’infilò le mani sotto il maglione.
- Riscaldami, sono congelata. – e gli strofinava il petto.
- E perché vuoi congelare anche me? – Luca provò a trattenerla ma senza convinzione, lei allora sfilò le mani dal maglione e gliele mise fra le gambe.
- Guarda, – le disse Luca – c’è un posto ideale per riscaldarsi le mani… il bocchettone del riscaldamento.
- Chissà cosa credevo… – Loredana si alzò e si sistemò lì accanto. – Non esistono più gli uomini di una volta, secondo me dovreste farvi tutti preti.
- Ho capito, ti vuoi confessare.
- Sì, padre Luca, ho peccato, ma solo col pensiero… ormai, figurati.
- Lo sapevo. Ma col pensiero si fanno i peccati peggiori. Lo sai, vero?
- A chi lo dici. Ma, tanto, io solo col pensiero li faccio.
- E allora cerca di non pensare troppo.
- Ci riesco solo quando dormo.
- E allora dormi.
- E allora fammi spazio.
- Luca si spostò accanto a Laura che sorrideva.
- Chiamatemi quando arriviamo. E fate i bravi.

Letizia aveva il muso lungo, chissà cosa le era andato storto quel giorno. Luca non si preoccupò più di tanto, dato che quella era l’espressione normale di sua moglie nei giorni lieti, entrò senza rivolgerle la parola per non scatenare una sua reazione e salutò i bambini, poi mangiucchiò qualcosa in piedi, si prese una bottiglia di vino e si chiuse nello studio. Appena chiusa la porta la salutò.
- Ciao, Mestizia, come mai quel muso lungo? Eri triste perché il tuo Luca non c’era? Oh, tesoro mio, ma lo sai che devo andare a lavorare, non vado mica a giocare a carte. Vieni, siedi sulle mie ginocchia e metti le mani sotto il mio maglione, io le metterò sotto il tuo, così. Vedi che ti è tornato il sorriso? Ora ci beviamo un bicchiere di vino e poi ti spoglio nuda.
Letizia, intanto, rimuginava sull’indifferenza dimostrata da suo marito, per lei era un’offesa grave che quello entrasse e non la degnasse di una parola, nemmeno un ciao smozzicato o un ehi per innescare un collegamento. Non che le importasse dialogare con lui, anzi, meno parlavano e meglio era, ma ignorarla era lo sgarbo peggiore che potesse farle. Nella sua mente si figurava l’approccio ideale.
- “Ehi, sto morendo di fame, che si mangia?”
- “Solo a mangiare pensi?”
- “Prima a mangiare e poi al resto, che hai cucinato?”
- “Pasta e fagioli.”
- “Porta in tavola, dai!”
- “Con calma! Anch’io ho lavorato, cosa credi?”
- “Senti, non è che ti devo prendere a schiaffi tanto per cominciare…”
- “A chi, vedi dove devi andare…”
A quel punto s’immaginava una sberla e un’altra pronta per arrivare, si toccava la guancia con la mano e intanto il sangue le cominciava a ribollire, non per l’offesa subita ma perché una manifestazione così virile le risvegliava i sensi. Quindi lo avrebbe servito e riverito come si fa con un padrone, avrebbe aspettato che fosse sazio e un po’ brillo e poi, sparecchiando la tavola gli avrebbe parato il culo a portata di mano e lui avrebbe accolto l’invito, le avrebbe infilato una mano fra le cosce e le avrebbe sfilato d'un colpo le mutande, poi avrebbe chiuso a chiave la porta e si sarebbe fatta scopare sul tavolo.
Ma perché lui non era così? Perché non la picchiava come faceva suo padre con sua madre e i suoi fratelli con le loro mogli e i suoi cognati con le sue sorelle? I loro sì che erano matrimoni ben riusciti, questo pensava, la donna non faceva in tempo a farsi alzare la cresta che l'uomo con una sberla o una cinghiata la rimetteva in riga, e senza por tempo in mezzo sfoderava l’attrezzo e se la scopava subito, tanto per mettere le cose in chiaro e dimostrare, senza ombra di dubbio, chi è che porta i pantaloni.
Ma quelli erano uomini di provincia, rudi e duri, non come lui che si credeva un poeta, che le aveva scritto decine di poesie, che la trattava come se fosse un suo pari, che cercava di essere garbato e gentile e faceva l’amore lentamente dedicando un’ora solo ai preliminari.
E che cavolo! Lei voleva essere trattata come una donna.
Più tempo passava e più si pentiva d’essersi messa con un cittadino.
Spalancò la porta dello studio e lo sorprese appisolato sulla poltrona.
- Ma solo a mangiare pensi?
Luca trasalì.
- Che succede?
- Che succede, entri, nemmeno mi cachi per dire, stronza, che hai fatto stamattina, ti sei sbattuta la testa nei muri, come va. Ti sembra modo?
- Ma che dici, non gridare che i bambini s’impressionano.
- S’impressionano? Si devono terrorizzare che hanno un padre come te. Ma che hanno fatto di male, poveri figli? Mi dovevo stare al paese e maritarmi col farmacista. Oh stupida che sono stata.
Letizia prese a schiaffeggiarsi e Luca si alzò e cercò di calmarla. Non capiva che in quel momento l’unica cosa da fare era tirarle due ceffoni maschi, strapparle di dosso quel cencio di veste e violentarla. Cercò, invece, di abbracciarla, lei si divincolò, diede un calcio al tavolino mandando in frantumi la bottiglia e scappò in cucina dove, per sfogarsi, ruppe un intero servizio di piatti. E lo fece con metodo, uno alla volta lanciati tutti nello stesso angolo, in modo da facilitarsi la raccolta successiva.
Luca si era portato le mani sulla testa, aveva deciso che al decimo piatto sarebbe intervenuto per farla smettere ma a quel traguardo non se la sentì di affrontarla e decise per il quindicesimo, poi rimandò al ventesimo ma lei al diciottesimo smise.
- “Cazzo!” – pensò Luca – “Sei fondi, sei piani e sei da frutta."
- Ma sei impazzita? – disse affacciandosi con cautela.
Letizia, per tutta risposta, afferrò una bottiglia di vino dalla rastrelliera e la lanciò nel solito angolo per innaffiare i cocci.
- Eh no, maledizione, il vino no! – esclamò Luca furibondo, fece due passi avanti e si mise fra lei e le bottiglie.
- Non ti permettere di toccare il vino che ti spacco tutta come quei piatti! – le urlò puntandole sul viso la mano in segno di minaccia.
Letizia lo vide arrabbiato davvero e pensò che era meglio ritirarsi, si chiuse nella stanza dei bambini e scoppiò a piangere. I bimbi, vedendo la mamma in lacrime presero a piangere anche loro e si strinsero a lei per abbracciarla e restarono così a lamentarsi per un’ora.
- Mamma, perché piangi?
- Perché papà è cattivo.
- Mamma, perché papà ti vuole picchiare?
- E’ cattivo, il vostro papà è cattivo, siamo sfortunati.
A questa frase la più grande aprì la porta e si diresse verso suo padre.
- Non ti devi permettere di toccare la mamma! – gli urlò con tutta la voce che aveva.
Luca la guardò stupito e gli sembrò di vedere Letizia in miniatura.
- Vieni qui. – le disse.
La bambina esitò, allora Luca si sedette e aprì le braccia, lei si scaraventò su di lui e si fece abbracciare mentre riprendeva a piangere.
- Io non voglio picchiare nessuno, non picchierei mai la mamma.
- E allora perché hai detto che la spacchi tutta?
- E’ solo un modo di dire, non farei mai del male alla mamma né a voi, ero solo arrabbiato.
- Non ti devi arrabbiare, se no la fai piangere.
- Va bene, ora non sono più arrabbiato, stai tranquilla, torna di là, vai, cerca di calmare la mamma.
Piano, piano i lamenti e i pianti nell’altra stanza si smorzarono, man mano che l’ultima luce del pomeriggio, rimasta a curiosare nella casa mentre il sole incendiava una pennellata di cielo, scavalcava in fretta le finestre e lo raggiungeva, come uno sciame che s’è attardato. Il buio sembrò un impiegato che arrivava in ufficio, si tolse la giacca, scambiò qualche battuta coi colleghi, diede uno sguardo al giornale e infine si sedette e s’immerse nel silenzio, dove c’erano già, prigionieri dei loro pensieri, Luca, Letizia e i bambini.

continua


[Modificato da basettun 14/11/2009 18:52]