00 15/11/2009 18:29
Torno subito, forse - segue

Laura trovò Lorenzo che l’aspettava seduto in macchina, aveva lo stereo ad alto volume e si muoveva al ritmo della musica, come se fosse in discoteca, si accostò per baciarlo ma lui non se ne accorse, mimando le parole del rock e facendo un sacco di smorfie avviò il motore e partirono. Quando il cd finì erano già nella pineta e finalmente si parlarono.
- Ti piace il nuovo impianto?
- Nuovo?
- Ma come, non hai sentito che sonorità? Ho fatto montare due casse anche dietro, senti. – e accese di nuovo spostando il balance per farle sentire solo gli altoparlanti posteriori. – Eh? Che ne dici? Non sembra di stare al centro della band? – e attaccò di nuovo a muoversi come un Celentano dell’ultima generazione.
Laura lo guardò sorridendo ma non fece una mossa, poi si girò intorno e vide altre auto ferme, in ognuna c’era una coppia di giovani impegnata in attività sessuali.
- Ma, non ti va una pizza? – gli chiese senza girarsi.
- Una pizza? E me lo dici ora?
- Te l’ho detto che non ho cenato, ma tu ascoltavi la musica…
- Ma quando me l’hai detto… – sbuffò e rimuginò, guardò l’orologio, mise in moto e innestò la retromarcia. – La signora vuole una pizza? – disse ripartendo – E noi la portiamo a mangiare la pizza.
Al tavolo, perché Laura volle sedersi, la scrutò mentre lei sminuzzava la Margherita in pezzetti troppo piccoli e dato che lui aveva già cenato, le raccontò tutti i particolari dell’impianto stereo che s’era fatto montare nel pomeriggio, elencò le caratteristiche tecniche, le differenze con gli altri apparecchi che gli sprovveduti acquistavano perché non conoscevano quello che aveva scelto lui. Lui si documentava, era al corrente delle ultime novità, degli accorgimenti più segreti che i tecnici tenevano nascosti gelosamente.
- E sai perché? Perché se ce l’hanno tutti non puoi andare in giro a dire che hai il meglio del meglio. Però io ho preso a Lillo e gli ho detto: senti bello, non voglio le solite cazzate che gli monti ai pecorari, a me mi devi mettere le cose migliori che hai, che se mi perdo una nota di Sting te lo riporto un pezzo alla volta, e non qui in laboratorio ma nella cassetta della posta. Lui rideva, ma poi è andato di là ed è tornato con cinque pacchi. Questo, mi ha detto, ce l’hanno solo in due, uno è un boss della malavita e l’altro è il padrone di mezza città, ma a te ti faccio una modifica e diventa unico. E così, cara mia, ho il migliore impianto stereo mobile che c’è sul mercato.
A quel punto si sarebbe aspettato i complimenti della sua ragazza, ma Laura continuò ad imboccare svogliata i pezzetti della Margherita e non gli fece nemmeno un cenno di compiacimento. Così lui se l’immaginò, scosse la testa come per dirsi, bravo, e le rubò un po’ di pizza per farla finire prima.
Quando uscirono dalla pizzeria erano già le ventitré e Laura si fece riaccompagnare a casa. Lorenzo fece un po’ l’offeso finché lei non chiuse il portone, poi prese il telefono e chiamò tre o quattro amici ai quali comunicò la lieta notizia del nuovo impianto stereo e li convocò in un pub.

Quella poca luce che riusciva a penetrare la tenda proveniva dagli abbaglianti delle auto che imboccavano il viadotto, urtava nell’angolo dell’armadio, rimbalzava sul soffitto e precipitava ai lati dello specchio frantumandosi. Laura ne seguiva il percorso ogni volta spostando solo gli occhi e quando la vedeva spezzarsi in decine di lampi, subito correva con lo sguardo a coglierne un’altra per accompagnarla, e cercava, così, di addormentarsi.
Ma ogni volta un senso incompiuto di tristezza la teneva sveglia, provava ad acchiappare al volo l’ultima luce che le era sfuggita ma la ritrovava in frammenti imprendibili che in un attimo si erano già spenti e lei era ancora in ritardo sulla luce successiva, la cercava, la sopravanzava con lo sguardo ma quella, più veloce, era già esplosa.
Si sentiva anche lei così, un lampo di luce che appena ci pensi è già finito.
Aveva ventitré anni, come il sole a un metro dall’orizzonte curvo del mare, che comincia a splendere così intensamente e a mostrare i raggi dorati, proprio come lo disegnano i bambini, e a scaldare davvero. Adesso era la stella del mattino che semina i colori e risveglia le piante dal letargo, apriva gli occhi su quella porzione di mondo e produceva la vita col solo sguardo, la scandiva minuto per minuto e la spingeva a cercare l’impeto primario vincendo il gelo del buio.
Tutti le rispondevano, chi scoprendo i petali, chi con un frullo d’ali, chi rivolgendole un sorriso, ma lei non riconosceva la sua stagione, si sentiva già dietro le nuvole del ponente dopo aver saltato lo zenit senza accorgersene, da sole bambino rosso come il fuoco a stella cadente verso la notte, già spenta, già fredda.
Dov’era finita la sua gioventù? Dov’erano finiti i sogni ad occhi aperti, ch’erano così veri e vicini da sembrare prendibili? Ma, soprattutto, dov’era finito l’amore?
Aveva conosciuto Lorenzo che aveva diciotto anni, era allegro e lei aveva bisogno di allegria, il primo anno insieme lo avevano trascorso ridendo, lui aveva sempre la battuta pronta, era simpatico, aveva tanti amici ch’erano divertenti come lui, scherzavano su tutto, passavano le notti a schiamazzare tra pub e pizzerie e poi a spigolare un po’ di sesso nelle pinete. Ma già dopo un anno le risate erano spente, gli scherzi non divertivano più, e il sesso nella pineta sembrava la conta delle pecore prima del sonno.
Da qualche tempo Laura provava ad evitarlo e lui se n’era accorto, non perché non le piacesse più, Lorenzo era giovane e aveva un corpo d’atleta, coi muscoli agili e scattanti, ma aveva scoperto che quell’uomo non la stimolava mentalmente, non riusciva ad accendere la sua curiosità, non sapeva coinvolgerla in dialoghi colti o almeno intelligenti. Ma ciò che più l'angustiava era la personalità di lui, tutta rivolta alla cura dell’aspetto fisico, dell’abbigliamento, dell’automobile che vezzeggiava come se fosse un essere umano.
Le cose più preziose, per Lorenzo, erano, nell’ordine, la sua BMW, il suo Rolex, i suoi Levi’s, le sue Nike, l’anello col rubino che gli aveva regalato sua madre e la sua Laura, che, anche se non era preziosa, era sua e guai a chi gliela toccava. Poi aveva un sacco di altre cose che appartenevano ad una seconda categoria, quella dei beni sostituibili, che venivano accantonati non appena scopriva il prodotto più tecnologicamente avanzato, o quello più alla moda, o anche solo il più appariscente: il telefono, gli occhiali da sole, la camicia, la giacca e, appunto, lo stereo mobile.
Laura sospettava di essere inclusa in quest’ultimo elenco o, addirittura, in una lista ben più mortificante, quella che comprendeva il padre, la madre, gli altri parenti che gli erano capitati così, per caso, senza che lui avesse avuto la possibilità di sceglierli.
Però era un bravo ragazzo, Lorenzo, aveva la sua attività ben avviata sulle orme del padre, un bel conto corrente, un appartamento che aspettava solo l’arredamento e una bella donna come tocco finale e, magari, due o tre marmocchi ai quali trasmettere il gusto per le cose belle e di valore. Lorenzo aspettava lei, che si decidesse una volta per tutte a sposarlo.
Ma Laura aveva rimandato già due volte quello che le appariva come un salto definitivo verso la notte. Dall’ultima data fissata era trascorsa un’estate, poi l’autunno che aveva stemperato un po’ l’entusiasmo di lui, ora era l’inverno che gelava ogni pensiero di rinascita, ma in primavera lui sarebbe tornato alla carica e l’avrebbe tempestata di domande, di regali e di fiori, perché quando sentiva che la loro unione vacillava prendeva a farle regali uno dietro l’altro. E Laura si sarebbe barricata dietro gl’impegni di lavoro, avrebbe scavato trincee fatte di “ma cosa vuoi che cambi?”, “ma non stai bene così?”, “siamo ancora troppo giovani”, finché non fosse arrivata l’estate che l’avrebbe distratto col surf, col motoscafo, con le gite alle isole e i falò sulle spiagge.
Ma ora era lì, a cavalcare le schegge di luce artificiale delle quali credeva di sentire pure il rumore mentre urtavano i mobili della sua stanza, ed era un rumore continuo e ritmato, come quello del treno sui giunti delle rotaie. A questo pensiero si unì il lumino rosso che scoprì proprio in quell’istante, era il led del televisore, e lo vide ingrandirsi fino a diventare il sole rosso che aveva stupito Luca, rievocò la sua figura che s’alzava e lo sguardo di lui così ingenuo come quello di un bambino, come i visi dei suoi alunni che restavano a bocca aperta vedendo la nevicata, anche se l’avevano vista decine di volte.
Era lo stupore di chi è grato alla vita per ogni piccola cosa, che accoglie come un dono il soffio del vento e un raggio di sole, e s’incanta se fra i rami dormienti del melo a gennaio scopre un frutto tardivo beccato dai merli.

continua