00 16/11/2009 21:54
Torno subito, forse - segue

“Ti ho portato le poesie”, le avrebbe detto senza nemmeno guardarla, mentre lei si toglieva la giacca e la sistemava e avrebbe continuato a sistemarsi anche lui, scegliendo un posto nello scompartimento, senza dare un’importanza eccessiva alla frase, come se fosse stato un “ciao, come stai”. Lei non avrebbe sentito o non avrebbe capito e lui non l’avrebbe ripetuto più, si sarebbero seduti e avrebbero parlato del tempo, del lavoro o di altre cose banali.
Luca era sicuro che sarebbe andata così e cercava di non pensarci.
Ma da quando si era svegliato il suo unico pensiero era quello, sotto la doccia recitava a memoria i suoi versi immaginando che fosse lei a leggerli, la pensava assorta nella lettura e poi, a tratti, fantasticava lo sguardo di Laura che si alzava e lo guardava negli occhi, in corrispondenza di una delle frasi più toccanti, e sembrava che ne udisse il pensiero: “Ma l’ha scritto proprio lui… che tenerezza, che sensibilità… chi l’avrebbe mai detto.”
Quando aveva smesso di accarezzarsi col sapone e aveva preso ad asciugarsi col telo ruvido, anche i pensieri erano cambiati e l’immaginava distratta o adulante, come era più probabile che sarebbe stata, poi tornava a lisciarsi i capelli e di nuovo le appariva soave e sinceramente attratta. Il pensiero di lei cambiava a seconda delle cose che faceva, era aspro e disincantato mentre spingeva l’auto per farla partire ma tornò lieve e fascinoso mentre un sorso di caffè lo scaldò e sentì la sua voce che diceva: - Ciao, me le hai portate le poesie?
- Sì. – disse girandosi, e la vide così bella e calda che gli sembrò il sole di mezza estate. Il suo sguardo fu talmente pieno dell’immagine di lei che Laura pensò che nessun uomo l’aveva mai guardata così e si sentì accolta come non le era mai accaduto.
Nessuno dei due capì quanto quell’incontro e quello scambio di parole e di sguardi fu importante per l’altro. Ognuno si coccolò la propria gioia credendola una debolezza e cercando, perciò, di non mostrarla, ma entrambi parlavano con gli occhi un linguaggio che non ha scrittura, muto e tenero, ch’era compreso dal respiro più lieve e celato, e negato alla coscienza.
- Ecco, ne ho messe insieme alcune delle ultime, spero che non ti annoi a leggerle.
Laura sorrise, le prese e le conservò in borsa di nascosto, come se si fossero scambiati un biglietto d’amore.
Luca non stava più nella pelle, rischiò di perdere il treno perché si attardò coi pensieri dentro la tazzina del caffè, quando sentì l’annuncio del rapido in partenza si mise a correre e lo acciuffò per un pelo, ma non seppe decidersi a cercarla nei vagoni consueti, prese a girare nella prima classe per almeno mezz’ora, poi tornò indietro e la incontrò nel corridoio.
- Ma dov’eri finito?
- Ero di là con un amico.
- Vieni, dentro fumano tutte, cerchiamo un posto tranquillo.
Trovarono l’ultimo vagone ch’era pieno di studenti. Quando scesero tutti, alla prima stazione, si sedettero accanto al finestrino, Laura dispiegò i fogli con le poesie.
- Ora voglio scoprire chi sei. – disse, e si arrischiò a leggere a voce alta per condividere con lui il momento magico che è la lettura di una poesia.
Che fosse un rischio lo sapeva ancor prima di cominciare, perché se i versi fossero stati banali o non le fossero piaciuti, avrebbe espresso in diretta il proprio disappunto, anche senza volerlo, e lui ne sarebbe rimasto ferito. Ma qualcosa le diceva che Luca non poteva avere scritto banalità e così cominciò.
- “Sulla rupe sembiante inerte giaccio/ e guizzano gli sguardi/ volti a schegge dinamiche di sole/ dove il blu diventa elettrico./ Gli evasi balenano pensanti/ sospinti dal flusso di elettroni/ convergono cogli apici dei lampi/ e si smorzano al richiamo./ Lumini ignari di audacia/ al buio sembrano stelle./ Sperante e incredulo mi annotto.”
Laura restò a guardare il foglio e sembrava che rileggesse in silenzio, Luca sentiva ogni fibra dei suoi muscoli in tensione e il cuore ch’era indeciso se battere o fermarsi, la guardava aspettando e temendo il momento in cui avrebbe alzato gli occhi ma lei restava immobile, assorta. Quando sollevò lo sguardo trovò quello di lui che la fissava e sorrise. Avrebbe voluto gridare, saltargli addosso e abbracciarlo ma dovette limitarsi ad un sorriso, pur se così ampio da farle male alle guance.
- Ma tu non sei incredulo. – gli disse.
- Incredulo come un adulto, sì, ma anche sperante come un bambino, per fortuna.
- Gli evasi sono i tuoi pensieri, vero?
- Sì.
- Che si fanno un giro, su per il cielo, e giocano coi lampi.
- Sì.
- E tu sei felice perché sei libero di volare col tuo pensiero che ha le ali.
- Sì.
- Perciò sembri inerte ma non lo sei. Anche se alla fine ti rendi conto che hai giocato con la fantasia e i tuoi pensieri ti sembrano, sì, luminosi come le stelle ma, forse, privi del coraggio operativo.
- Già! Non sempre te lo puoi permettere.
- Ma non smetti di sperare.
- No, finché avrò forza.
- E’ bellissima. E’ semplice ed efficace.
Anche Laura era semplice ed efficace, Luca lo capiva analizzando le poche parole e i pochi gesti che lei faceva. Quando la immaginava, la vedeva quasi immobile e silente ma percepiva un processo chimico simile all’ebollizione, che la faceva apparire spumeggiante e allo stesso tempo statica, un’energia nascosta ch’era suggerita da pochi indizi, un sorriso eclatante, un richiamo acuto, un gesto veloce che rallentava al tatto e si trasformava in carezza.
- C’è qualcosa in te. – le disse.
- Qualcosa?
- Qualcosa che ti percorre velocemente. Credevo che fossero i colori e le luci del paesaggio… ma è qualcosa che hai dentro.
Laura lo scrutò e vide che i suoi occhi si muovevano veloci, come se guardando lei vedesse il paesaggio che scorreva nel finestrino del treno. Le sembrò strano perché lei era immobile, mentre gli occhi di Luca facevano centinaia di metri per guardare il suo viso da un punto all’altro, così le sembrò di correre per non farsi acchiappare mentre lui, anche da fermo, la raggiungeva sempre.
Era una bella corsa, lei si sentiva un paesaggio aggrappato a uno spicchio di terra, ma involato per magia e scagliato da una forza segreta lontano, di fronte allo sguardo di lui che la inseguiva, la superava, poi si fermava ad aspettarla e ne gustava la brezza mentre sfrecciava come un rapido e poi via, ad inseguirla ancora.
Entrambi ebbri e veloci ansimavano, affusolati e più belli, correndo l’uno negli occhi dell’altro si sfuggivano, si cercavano, s’incontravano e lei non voleva farsi prendere, o forse sì, e lui provava ad afferrarla e ne temeva il contatto, esitava e lei era già passata.
Era trascorso qualche minuto, di silenzio, sembrava, nonostante il frastuono del treno in corsa. Laura durante il suo volo aveva abbassato gli occhi più volte per riposarli sui fogli ma li aveva rialzati subito per ritrovare lo sguardo di Luca e sorrideva, quasi imbarazzata, per essere scrutata così.
- Non dovrai passare e scomparire come quel paesaggio, – disse Luca girandosi verso il finestrino e alzandosi perché la sua fermata era imminente. – ormai lo conosco a memoria, ogni albero, ogni casa. Tu non dovrai essere una bella visione che passa veloce.
- Non passerò veloce. – rispose lei mentre continuava a sorridere e dal suo viso sfuggivano frasi che, in quella circostanza, non poteva dire.
- Promesso? – ma Luca aveva accolto tutte le parole del linguaggio muto e già sapeva ciò che lei avrebbe risposto.
- Te lo giuro. – disse Laura baciandosi due dita.
Lui baciò due delle sue e gliele porse per unirle a quelle di lei.
Era il primo segnale d’intimità.

continua