00 13/11/2009 17:03
Torno subito, forse


Luca era seduto di fronte allo schermo del computer e cercava le parole per iniziare la storia ma non le trovava, nella mente aveva un vuoto che sembrava vuoto e invece era una folla di frasi spezzate o di concetti interrotti dallo scontro con realtà concrete che li contraddicevano. Ogni pensiero, breve e all’apparenza concluso, finiva per diradarsi nella nebbia non appena provava ad alzare lo sguardo verso il monitor e lì trovava il suo messaggio che transitava “torno subito, forse”. Allora dava un colpo al mouse e preparava le dita sulla tastiera, ma già il gesto l’aveva distratto e non sapeva decidersi con quale lettera cominciare.
Cosa aveva pensato? Qual era l’idea? E quando riusciva a ricordarla non gli sembrava più così preziosa, era banale o troppo profonda alla partenza di un racconto che, alla fine, sarebbe stato un viaggio, non semplice ma nemmeno complicato, come nello scompartimento di un treno che ti sposta da un punto geografico all’altro, anzi, trascina il paesaggio nel tuo finestrino che sembra lo schermo del computer e quasi leggi il tuo messaggio “torno subito, forse”.
Quando capì di essere sul treno e non seduto alla sua scrivania gli venne un colpo, non era mai stato così lontano da sé, separato dalla realtà tanto da non riconoscerla. Ed era solo, imbarcato chissà da quanto. Per andare dove, nemmeno questo sapeva, né perché aveva deciso.
Ma era partito e l’idea gli piaceva, doveva raccontare una storia e il modo migliore l’aveva scelto senza saperlo: cominciare, non ha importanza come, un viaggio senza capo né coda né motivi.
Un viaggio è una storia e il paesaggio che scorreva al di là del vetro era una scenografia perfetta che cambiava senza dargli il tempo d’innamorarsi di un luogo o di una luce o di un colore o di una linea e alla fine del viaggio, perché una fine ci sarebbe stata, avrebbe avuto una storia scritta dalla prima parola all’ultima, una storia veloce da rileggere lentamente per capirla o per non capire niente e dopo … il dopo sarebbe stato inutile.

Qualche anno prima, quindici per l’esattezza, ma per lui erano quindici giorni quando stava bene e quindici mesi quando stava male, aveva conosciuto Laura, proprio durante un viaggio sul treno, il solito viaggio di cinquanta chilometri che faceva ogni mattina per andare al lavoro. Alle cinque e mezza prendeva il rapido che di rapido aveva solo il nome, anzi, andava davvero veloce da una stazione all’altra ma si fermava in tutte le stazioni, così che il viaggio durava due ore, quasi quanto ci avrebbe impiegato a farlo in bicicletta.
Ma l’ultima volta che aveva montato una bici aveva dieci anni e da allora ne erano passati altri venti, e quelli gli sembravano almeno quaranta quando stava bene e ottanta quando stava male, perciò Luca si sentiva un vecchio quand’era al massimo della sua esuberanza e già morto e seppellito quand’era depresso.
Luca faceva il segretario precario in una scuola elementare, era sposato, aveva due figli e un altro sarebbe arrivato da lì a poco. Quando suonava la sveglia cominciava a bestemmiare, mentalmente per non infastidire i congiunti, si tuffava sotto la doccia e lì lo scroscio gli lavava i peccati più recenti e ne usciva lindo come dalla fonte battesimale. Si sentiva pulito come Adamo nel paradiso terrestre prima di conoscere Eva, dava uno sguardo ai bimbi nel pieno del sonno, un'occhiata truce alla moglie alla quale dedicava pure uno sputacchio mentale, e usciva che fosse scirocco o tramontana per benedire quel lavoro ch’era arrivato, finalmente, almeno per un anno, e alleviava le torture quotidiane che lo schiaffeggiavano: il cappotto per la grande, le scarpe per il piccolo, e l’affitto e la bolletta della luce e la bombola del gas e l’olio e il latte e noi perché non dobbiamo avere la televisione e soldi dai tuoi non ne voglio e che si facciano i fatti loro e non sei capace di trovarti un lavoro come si deve e vaffanculo e non mi rompere le palle e la porta che sbatte e l’intonaco che si sbriciola.
L’aria era fredda e pungeva pure i polmoni o torrida da abbrustolire i peli del naso ma Luca aspirava con tutte le forze e la strada gli sembrava il prato di trifogli umido di rugiada, le pareti dei palazzi erano costoni di montagne o siepi di rovi ai margini dei boschi e saltellava per arrivare a quel rottame di auto ch’era parcheggiata in discesa perché partiva solo a spinta.
Quella mattina qualcuno l’aveva incastrata parcheggiando a spina di pesce proprio davanti al suo muso, dovette spingere la macchina indietro di un paio di metri forzando la salita, poi liberò il ferrovecchio che gli passò accanto prendendo velocità, si agganciò allo sportello e volò sul sedile con l’abilità di una scimmia. Fece appena in tempo ad innestare una marcia e mollare la frizione prima di tamponare l’autobus ch’era fermo all’incrocio, ma non fece danni, il motore tossì per liberarsi dell’umido della notte e Luca l’aiutò sfarfallando sull’acceleratore.
Poco dopo Laura stava entrando in stazione, sentì il baccano del coupé senza marmitta che si sistemava nel viale a muso in giù e ne vide l’unico occhio che si spegneva, si sistemò la sciarpa e il bavero della giacca ed incontrò le sue amiche raccolte in un angolo del bar ch'era il luogo più caldo, poi prese a ridere senza scoprirsi la bocca mentre Loredana le chiedeva cosa ci fosse da ridere alle cinque e mezza del mattino con un freddo che ti congela il culo.
- Mi ha telefonato, ieri sera.
- Non ci credo.
- Ti giuro, è stato un’ora al telefono, voleva che andassimo insieme in pizzeria.
- E sei andata?
- Ma sei pazza, nemmeno lo conosco.
- Ma se non esci con lui, come farai a conoscerlo?
- Ma non m’interessa, figurati, è così insignificante.
- Insignificante? Ma l’hai guardato bene? Dio manda il pane a chi non ha denti.
- Tu te lo saresti già mangiato, vero?
- Sì, a piccoli morsi per farlo durare di più.
- E tu, come sei messa?
- Quello stronzo è da una settimana che non si fa vivo.
Luca spalancò la porta in quel momento e si diresse dritto al banco senza degnare di uno sguardo il drappello di maestre, si prese un cornetto e ordinò un caffè.
Laura e Loredana si avvicinarono tenendosi a braccetto.
- Te la possiamo offrire noi la colazione?
- Sì, grazie. Dove andate di bello?
- Vaffanculo, dove vai tu.
- Certo che… uno esce di casa la mattina sperando d’incontrare finalmente una donna garbata e poi si prende il primo vaffanculo della giornata da una che ti vuole offrire il caffè.
- Gne gne gne… ti presento Laura, lei sì ch’è dolce, come la marmellata del tuo cornetto.
Laura lo guardò da sotto la sciarpa sgranando gli occhi e accennando un risolino.
Si sistemarono nello stesso vagone insieme alle altre di cui Luca non ricordava nemmeno il nome e Laura si tolse la giacca rivelando un corpicino fatto davvero bene.
Luca le guardò il culo ch’era a un palmo dal suo viso mentre lei aggiustava le sue cose, abbassò gli occhi e aspettò che si sedesse.
- Eri tu che facevi quel rumore assordante nel viale?
- Sì, è la mia centoventotto. Mi dispiace, ti ha disturbato?
- No, io ero già sveglia, ma non puoi sperare di passare inosservato.
- Infatti, con la tredicesima dovrò cambiare la marmitta, se resterà qualcosa dopo che avrò comprato il cappotto e le scarpe per i bambini e la televisione a colori per mia moglie.
- Ma quanti figli hai?
- Due e uno in arrivo fra sei mesi.
- Che bello, auguri. – Laura si alzò e gli diede due baci sulle guance.
- Loredana, Luca aspetta un altro figlio.
- Congratulazioni papà. Certo che tu non lo fai arrugginire, come qualcuno che conosco io.
- Zitta! Non la stare a sentire, lei quello che ha nel cuore ce l’ha in bocca. – disse Laura accompagnando le parole coi gesti.
- Sì, magari, è da una settimana che… – Laura le piantò il palmo della mano sulla bocca e soffocò il resto della frase.
- E non ce l’hai le foto dei tuoi figli?
- Sì, devo averne una. – Luca tirò fuori il portafoglio e mostrò una foto che aveva scattato l’estate scorsa, c’erano i bimbi insieme alla madre.
- Che belli, e lei è tua moglie?
- Sì, è bella, vero?
- Bella, sì, e siete ancora innamorati?¬
- Ah sì, come il primo giorno. – Luca sentì la macchia della menzogna che gli si spiaccicava in pieno viso e d’istinto provò a pulirla, ma capì che avrebbe dovuto aspettare la prossima doccia e sorrise.
- Dicono che dopo qualche anno non è più come prima, soprattutto se ci sono figli.
- Forse è così, – disse Luca – ma a noi non è successo, ci amiamo anche più di prima. – continuò cercando di pulirsi il viso ma non faceva altro che allargare la macchia.
- E lo sai perché? Perché ognuno ha il massimo rispetto dell’altro. Sappiamo di essere diversi, perché è normale che due persone lo siano, ma ognuno di noi sa ritagliarsi i propri spazi rispettando quelli dell’altro. E’ questo il segreto di una coppia che funziona. E poi cerchiamo di non essere volgari, la volgarità uccide l’amore, come se ci fossimo appena conosciuti e dovessimo mostrare la parte migliore di noi per conquistare l’altro.
A quel punto Luca si sentiva una maschera, impiastricciata sul viso, che cominciava a colare dentro il maglione e pensò che forse non sarebbe bastata una doccia per lavare tutte quelle bugie.
In effetti il suo matrimonio era andato a rotoli già dopo un anno, lui e sua moglie ormai si odiavano e odiavano anche se stessi perché non avevano avuto il coraggio di separarsi. Ma erano venuti i figli, e almeno per loro si doveva continuare, a costo di buttare alle ortiche i migliori anni della gioventù, questo gli avevano insegnato, la famiglia era sacra e bisognava tenerla insieme con tutto il bene e tutto il male che comporta, anzi, era proprio il male che diventava il cemento giacché il male unisce più del bene.
Il male era un complice di cui ci si vergogna, Luca lo nascondeva alla vista dei parenti e degli amici i quali credevano che tutto andasse per il meglio, che la loro unione fosse stata benedetta sul serio, non per finta come fa il prete, e che i figli fossero il risultato di un amore grande che si perpetuava negli anni. Ma erano lontani dalla verità e Luca pensava che tutte le coppie vivessero una realtà inventata fatta di propaganda e ostentazione di felicità virtuale, un mondo falso che si relazionava con altre false realtà e produceva un ambiente stravolto e innaturale.
Ma se quello era il mondo, Luca dimostrava di saper mentire meglio degli altri, non una volta che si fosse mostrato scontento o infelice, non un litigio in pubblico né uno sguardo truce né un segnale d’insofferenza, la regola era: siamo felici, e lui dimostrava d’esserlo più di tutti, da sempre e per sempre dato che Dio l’aveva scelto come esempio e un esempio non può deludere.
L’altra faccia della medaglia era il dolore causato dalla menzogna, perché Luca sapeva di mentire e intuiva il disagio di quella parte ingenua di sé, chiamatela anima se vi pare, che aspira alla verità. Perciò Luca aveva scoperto che anche il dolore è qualcosa di cui vergognarsi, è un sentimento da non mostrare a nessuno, e così la vita di Luca s’era ridotta a una vergogna continua, segreta anch’essa, che tingeva d’infamia ogni suo gesto e ogni parola.
- E tu sei sposata?
- No.
- Fidanzata?
- Sì… no… boh!
- Come boh, sei fidanzata o no?
- Credo di sì.
- Credi?
- Sì, sto con un ragazzo.
- Come si chiama?
- Lorenzo.
- E quando vi sposate?
- Mai!
- A Giugno, si sposano a Giugno. – intervenne Loredana.
- Non è vero!
- No?
- Non mi va di parlarne.
- Oh, scusa, non volevo essere invadente.
¬Laura s’era girata un po’ di lato verso il finestrino, aveva tirato un libro dalla borsa e s’era messa a leggere. Luca l’aveva osservata per qualche minuto, non aveva saputo trovare altre frasi da rivolgerle e s’era girato anche lui verso la striscia dinamica di paesaggio che cominciava a illuminarsi.
Il mare sembrava la proiezione di una diapositiva, se non fosse stato per il pennacchio di fumo sulla cima dell’Etna che cambiava di forma ogni minuto, e le spiagge, le case, gli alberi che transitavano a velocità diverse sui vari piani prospettici animavano quella foto che non sembrava vera. Luca si voltava per guardare Laura e dal movimento rapido dei suoi occhi la percepiva distratta, per nulla immersa nella lettura, immobile eppure percorsa dalle luci e dai colori tanto da apparire partecipe alla corsa.
Quando il treno entrò in galleria i loro sguardi s’incrociarono per un centinaio di metri, ma fu un istante e subito dopo si separarono e tornarono quelli di Laura sulla pagina del libro e quelli di Luca sulla striscia che cominciava a rallentare.
Loredana si accorse che la sua amica s’era persa nei pensieri e volle trarla in salvo, le si accostò all’orecchio e le sussurrò qualcosa che la fece sorridere, ma doveva essere qualcosa di sconveniente perché Laura diede uno sguardo furtivo fra le gambe di Luca e arrossì.
- Secondo me ce l’ha bello grosso, – continuò Loredana – ora glielo chiedo.
- Ma sei scema! – esclamò Laura, preoccupata che lo facesse davvero, poi scoppiarono a ridere e non la finivano più, ogni parola pronunciata da chiunque sembrava una battuta che si ricollegava a quella pronunciata all’inizio e andarono avanti così per il resto del viaggio.
Il mare sembrava un foglio di cellofan posato sul palcoscenico, era illuminato dal basso dai fari filtrati di verde pallido e increspato da una ventola lenta, giusto per innescare le ombre lunghe delle onde. Quando il treno finì di girare sulla curva ampia del promontorio, una lampada gialla si accese e lo illuminò, la saetta lo percorse cominciando dal locomotore e poi, velocemente, giù fino alle ultime vetture, Luca si voltò e incontrò il semaforo dell’est che arrostiva come la piastra di una stufa, si alzò e tirò il finestrino per farlo entrare ma l’aria era ancora gelida.
- Guardate! – disse.
- E’ il sole, – lo tranquillizzò Loredana – non l’avevi mai visto?
- No, mi sembra sempre la prima volta.
Laura guardò stupita lo stupore di lui che sembrava rapito dallo spettacolo e s’era alzato in piedi quasi per applaudire.

continua


[Modificato da basettun 13/11/2009 17:04]